A coloro che ancora civettano con il #centralismo, che prospettano, per il dopo emergenza #coronavirus, una società ancora più centralista e più autoritaria, che sono pronti a invocare il prossimo sindaco, podestà o duce d’Italia (o magari dell’intera Europa, che sarebbe anche peggio), raccomandiamo di usare il tempo della quarantena per leggere qualcosa di un tantino più profondo, come queste eterne riflessioni di Tocqueville, che riportiamo qui di seguito, contro chi oscilla sempre tra “servitù e licenza”.
“Cosa mi importa, dopotutto, che vi sia un’autorità sempre pronta, che veglia a che i miei piaceri siano tranquilli, che vola davanti a me per allontanare i pericoli dal mio cammino, senza che io abbia bisogno di pensare a tutto questo; se questa autorità, nel tempo stesso che allontana le più piccole spine sul mio passaggio, è padrona assoluta della mia libertà e della mia vita; se monopolizza il movimento e l’esistenza al punto che quando essa languisce, languisce tutto intorno a lei, che tutto dorme, quando essa dorme, che tutto perisce quando essa muore? Vi sono in Europa certe nazioni in cui l’abitante si considera come una specie di colono indifferente al destino del luogo in cui abita. I più grandi cambiamenti sopravvengono nel suo paese senza il suo concorso; egli non sa precisamente quel che è successo e ne dubita, poiché ha inteso parlare dell’avvenimento per caso. Non solo, ma il patrimonio del suo villaggio, la pulizia della sua strada, la sorte della sua chiesa e della sua parrocchia, non lo toccano affatto; egli pensa che tutte queste cose non lo riguardano in alcun modo, perché appartengono ad un estraneo potente, che si chiama il governo. Quanto a lui, non è che l’usufruttuario di questi beni, senza spirito di proprietà e senza idee di miglioramento. Questo disinteresse di se stesso si spinge tanto in là che se la sua sicurezza o quella dei suoi figli è compromessa, invece di cercare di allontanare il pericolo, egli incrocia le braccia per attendere che l’intera nazione venga in suo aiuto. Quest’uomo, del resto, benché abbia sacrificato completamente il suo libero arbitrio, non ama l’obbedienza più degli altri; si sottomette, è vero, al beneplacito di un impiegato, ma si compiace di sfidare la legge, come un nemico vinto, quando la forza si ritira. Così oscilla senza tregua fra la servitù e la licenza.“1
1 Alexis de Toqueville, De la Démocratie en Amérique, Parigi, 1835-40. Edizione italiana: La democrazia in America, Rizzoli, Brescia, 1995, pp.96-97.
Questo è il nostro regalo a tutti i cittadini di una Italia che, non dimentichiamolo, nacque sbagliata, come Regno conquistato il 17 marzo 1861, e che solo con la Costituzione del 1948, con la fondazione di una Repubblica di Autonomie, ha ricominciato lentamente a risalire la china della storia in cui il centralismo autoritario l’aveva precipitata. No, per noi oggi non è la giornata della “unità nazionale“, semmai di una virale ipocrisia da cui la Repubblica delle Autonomie dovrebbe guarire, una volta per tutte.